Categorie
Letture Letture avanzate

Alda Merini – Il caffè

Quello che segue è un racconto scritto da Alda Merini e pubblicato nella raccolta Il ladro Giuseppe, per la casa editrice Scheiwiller, nel 1999.

C’è un caffè, giù sulla Ripa, gestito da due sorelle dove io mi ritrovo tutti i giorni insieme ad altre compagne di sventura. Sì, perché la vita è una enorme assurda sventura. I nostri discorsi li conosciamo a memoria come conosciamo a memoria la vita l’una dell’altra. Abbiamo tutte un punto debole, un punto doloroso di cui parliamo sempre e questo caffè somiglia o un confessionale o a un luogo di psicoterapia piuttosto che a una birreria.
Una volta un tizio mi disse che non davo buono spettacolo facendomi vedere lì dentro mentre le altre massaie rassettavano la casa, ma io mi ero messa a ridere; e dove la trovavo io la forza di andare avanti, se nessuno mi parlava mai? Sì, d’accordo, erano discorsi scuciti di gente molto vicina all’arteriosclerosi, ma in fondo erano discorsi umani accorti, anzi con un certo piglio signorile perché le persone che frequentavano questo bar avevano tutte licenza di credere che sarebbero state persone altolocate se il caso fosse stato benigno.
Beh, ecco, il baretto consta di un largo pancone e poche sedie per le persone più anziane, ma ci si trova bene e si addice meravigliosamente al Naviglio che sta di fronte. Fuori la scritta “La Madonina” precisa che ci troviamo proprio a Milano, nel cuore della vecchia città, che non ci possiamo sbagliare e che lì dentro è tutto milanese; le sorelle poi che gestiscono il locale – il quale non ha subito modifiche da oltre un centinaio di anni – sono abilissime e curiose, quel tanto di curiosità che basta a farti dire con piacere le tue cose private come se ti scaricassi di un lungo inveterato peso.
“La Madonina”: ecco il mio punto fermo nella vita e alle volte vorrei scrollarmelo di dosso come un piacere che non merito, a volte mi dico che ho cose più urgenti da fare, che non è giusto che una madre di famiglia si sieda a prendere un buon caffè; ma poi mi consolo pensando che sì, in fondo, non vado mai dal parrucchiere, che non ho altri sfoghi e così mi adagio serenamente nella poltrona del piccolo caffè e lì comincio a dipanare ricordi senza fine e senza nome sulla scie dei discorsi degli altri, fumandomi qualche sigaretta, regalata anche quella dall’alice che è la più giovane delle sorelle.
Così, ecco un punto fermo. Credo che tutti nella vita ne abbiano bisogno uno; chi se lo fa al bar, chi in altri posti, chi persino in chiesa. E poi – lo crederesti, lettore? – in questo bar qualche volta si prega: sì, perché, vedete, siamo tutte persone spaurite che andiamo a rifugiarci lì dentro a chiedere una grazia – solo che questa grazia invece di chiederla a Dio la chiediamo a una buona tazza di caffè.

Comprensione del testo

  1. Nel testo, come viene descritto il ruolo che il caffè “La Madonina” ha nella vita della narratrice?
    a) Un luogo dove si va solo per gustare un buon caffè e fumare una sigaretta.
    b) Un luogo di rifugio dove si può condividere la propria vita con altre persone che frequentano il posto.
    c) Un luogo di estraneità dove le persone evitano di condividere le proprie esperienze personali.
    d) Un luogo dove si va principalmente per discutere di argomenti superficiali e triviali.
  2. Nel testo, come viene descritta l’atmosfera all’interno del caffè “La Madonina”?
    a) Un luogo moderno e alla moda, frequentato principalmente da giovani.
    b) Un luogo che non ha subito modifiche da oltre un secolo, gestito da due sorelle curiose e capaci.
    c) Un ambiente freddo e impersonale, dove le persone raramente interagiscono tra loro.
    d) Un locale commercializzato con un’ampia gamma di servizi e intrattenimenti disponibili.
  3. Quale descrizione riflette meglio l’opinione della narratrice riguardo alle conversazioni che si svolgono nel caffè “La Madonina”?
    a) Discorsi superficiali e senza sostanza, tenuti principalmente per riempire il silenzio.
    b) Conversazioni profonde e significative che offrono uno scambio umano genuino e a volte un certo piglio signorile.
    c) Dialoghi leggeri e divertenti, che servono principalmente come mezzo di evasione dalla realtà quotidiana.
    d) Discussioni accese e polemiche, che spesso portano a disaccordi e conflitti.

Controlla le risposte!

Categorie
Letture Letture avanzate

Tullio De Mauro – Leggere è un privilegio

Vi proponiamo un bellissimo brano tratto dal testo Il gusto della lettura, di Tullio De Mauro.

Leggere, potere leggere, avere il gusto di leggere, è un privilegio. È un privilegio della nostra intelligenza, che trova nei libri l’alimento primo dell’informazione e gli stimoli al confronto, alla critica, allo sviluppo. È un privilegio della fantasia, che attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l’esplorazione fantastica dell’immaginario, del mareggiare delle altre possibilità tra le quali si è costruita l’esperienza reale degli esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino economica: chi ha il gusto di leggere non è mai solo e, con spesa assai modesta, può intessere i più affascinanti colloqui, assistere agli spettacoli più fastosi. Non c’è cocktail party, non c’è terrazza, non happening, non premiere che offra quello che chi ha gusto di lettura può trovare solo allungando la mano verso un qualsiasi modesto palchetto di biblioteca. Non c’è Palazzo che valga quello di Armida, o quell’ hegeliano castello del sapere dalle cento e cento porte, dove suonano solo le quiete voci della conoscenza e della fantasia. E mentre altre esperienze si consumano nel ripetersi, nel leggere, invece, come ha detto una volta un poeta, dieci e dieci volte possiamo tornare sullo stesso testo, ogni volta riscoprendone un nuovo senso, un più sottile piacere.

Comprensione del testo

  1. Nel testo, quale aspetto dell’esperienza della lettura viene definito come un privilegio per l’intelligenza umana?
    a) La possibilità di sviluppare la creatività attraverso le attività manuali
    b) L’opportunità di esplorare nuovi luoghi attraverso viaggi fisici
    c) La possibilità di ottenere stimoli per il confronto e lo sviluppo critico attraverso i libri
    d) L’opportunità di interagire con altre persone in eventi sociali
  2. Come viene descritta l’esperienza di leggere lo stesso testo più volte, secondo quanto espresso nel testo?
    a) Come un’esperienza che tende ad essere monotona e prevedibile
    b) Come una possibilità di riscoprire continuamente nuovi significati e piaceri più sottili
    c) Come un’attività che tende a diminuire il piacere ad ogni lettura successiva
    d) Come un’esperienza che offre un unico significato costante ad ogni lettura
  3. In base al testo, quale funzione detiene la lettura nel contesto dell’immaginario umano?
    a) Restringe la capacità di immaginare e esplorare nuove possibilità.
    b) Consente un’esplorazione fantastica dell’immaginario e il fluire di altre possibilità nella costruzione dell’esperienza umana reale.
    c) Funge da strumento per comprendere soltanto la realtà tangibile e presente.
    d) Limita l’esperienza umana alle sole informazioni e conoscenze presenti nel testo letto.

Controlla le risposte!

Categorie
Letture avanzate

Italo Calvino – Il principe granchio

Questa fiaba di Italo Calvino è intitolata “Il principe granchio”. Purtroppo un colpo di vento ha messo in disordine i paragrafi. Prova a riordinarli tu! La A è corretta.

A. Una volta c’era un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famigliola. Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare, tira e tira ed era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto. – Oh, che pesca ho fatto, stavolta! Potessi comprarmici la polenta per i miei bambini!

B. Allora il vagabondo uscì da dietro ai tendaggi, si tuffò anche lui nella vasca e nuotando sott’acqua andò a sbucare nella peschiera del Re. La figlia del Re che era lì a guardare i suoi pesci, vide affiorare la testa del vagabondo e disse: – Oh: cosa fate voi qui? – Taccia, padroncina, – le disse il vagabondo, – ho da raccontarle una cosa meravigliosa -. Uscì fuori e le raccontò tutto. – Adesso capisco dove va il granchio da mezzogiorno alle tre! – disse la figlia del Re. – Bene, domani a mezzogiorno andremo insieme a vedere.

C. Rispose il Re: – Ma cosa vuoi che me ne faccia di un granchio? Non puoi andarlo a vendere a qualcun altro? In quel momento entrò la figlia del Re: – Oh che bel granchio, che bel granchio! Papà mio, compramelo, compramelo, ti prego. Lo metteremo nella peschiera insieme con i cefali e le orate.

D. Tornò a casa col granchio in spalla, e disse alla moglie di mettere la pentola al fuoco che sarebbe tornato con la polenta. E andò a portare il granchio al palazzo del Re. – Sacra Maestà, – disse al Re, – sono venuto a vedere se mi fa la grazia di comprarmi questo granchio. Mia moglie ha messo la pentola al fuoco ma non ho i soldi per comprare la polenta.

E. Seduta su uno scoglio, con le otto damigelle vestite di bianco, su otto scogli intorno, la figlia del Re suonava il violino. E dalle onde venne su la Fata. – Come suona bene! – le disse. – Suoni, suoni che mi piace tanto!

F. Così l’indomani, nuotando per il canale sotterraneo, dalla peschiera arrivarono alla sala e si nascosero tutti e due dietro i tendaggi. Ed ecco che a mezzogiorno spunta fuori la Fata in groppa al granchio.

G. Lasciata la Fata e tornando a nuotare verso la peschiera, il Principe – perché era un Principe spiegava alla sua innamorata, stretti insieme dentro la scorza di granchio, cosa doveva fare per liberarlo: – Devi andare su uno scoglio in riva al mare e metterti a suonare e cantare. La Fata va matta per la musica e uscirà dal mare a ascoltarti e ti dirà: «Suoni, bella giovane, mi piace tanto». E tu risponderai: «Sì che suono, basta che lei mi dia quel fiore che ha in testa». Quando avrai quel fiore in mano, sarò libero, perché quel fiore è la mia vita.

H. Intanto il granchio era tornato alla peschiera e lasciò uscire dalla scorza la figlia del Re. Il vagabondo era rinuotato via per conto suo e, non trovando più la Principessa, pensava d’essersi messo in un bel guaio, ma la giovane ricomparve fuori dalla peschiera, e lo ringraziò e compensò lautamente. Poi andò dal padre e gli disse che voleva imparare la musica e il canto. Il Re, che la contentava in tutto, mandò a chiamare i più gran musici e cantanti a darle lezioni.

I. La Fata batte la bacchetta e dalla scorza del granchio esce fuori il bel giovane e va a mangiare. Alla Principessa, se il granchio già le piaceva, il giovane uscito dal granchio le piaceva ancora di più, e subito se ne sentì innamorata. E vedendo che vicino a lei giaceva la scorza del granchio vuota, ci si cacciò dentro, senza farsi vedere da nessuno.

J. La Principessa non si stancava mai di guardare quel granchio e non s’allontanava mai dalla peschiera. Aveva imparato tutto di lui, delle abitudini che aveva, e sapeva anche che da mezzogiorno alle tre spariva e non si sapeva dove andasse. Un giorno la figlia del Re era lì a contemplare il suo granchio, quando sentì suonare la campanella.

K. Questa figlia del Re aveva la passione dei pesci e se ne stava delle ore seduta sull’orlo della peschiera in giardino, a guardare i cefali e le orate che nuotavano. Il padre non vedeva che per i suoi occhi e la contentò. Il pescatore mise il granchio nella peschiera e ricevette una borsa di monete d’oro che bastava a dar polenta per un mese ai suoi figlioli.

L. Il giovane si sedette a tavola, la Fata batté la bacchetta, e nei piatti comparvero le vivande e nelle bottiglie il vino. Quando il giovane ebbe mangiato e bevuto, tornò nella scorza di granchio, la Fata lo toccò con la bacchetta e il granchio la riprese in groppa, s’immerse nella vasca e scomparve con lei sott’acqua.

M. S’affacciò al balcone e c’era un povero vagabondo che chiedeva la carità. Gli buttò una borsa di monete d’oro, ma il vagabondo non fu lesto a prenderla al volo e gli cadde in un fosso. Il vagabondo scese nel fosso per cercarla, si cacciò sott’acqua e si mise a nuotare.

N. La Fata e il granchio saltarono nella sala, la Fata toccò il granchio con la sua bacchetta, e dalla scorza del granchio uscì fuori un bel giovane.

O. Il fosso comunicava con la peschiera del Re attraverso un canale sotterraneo che continuava fino a chissà dove. Seguitando a nuotare sott’acqua, il vagabondo si trovò in una bella vasca, in mezzo a una gran sala sotterranea tappezzata di tendaggi, e con una tavola imbandita.

P. Così, tornata a casa, la Principessa disse al Re che s’era tanto divertita, e nient’altro. L’indomani alle tre, si sente un rullo di tamburi, uno squillo di trombe, uno scalpitìo di cavalli: si presenta un maggiordomo a dire che il figlio del suo Re domanda udienza.

Q. Il Principe fece al Re regolare domanda della mano della Principessa e poi raccontò tutta la storia. Il Re ci restò un po’ male perché era all’oscuro di tutto; chiamò la figlia e questa arrivò correndo e si buttò nelle braccia del Principe: – Questo è il mio sposo, questo è il mio sposo! – e il Re capì che non c’era altro da fare che combinare le nozze al più presto.

R. Quando il giovane rientrò nella scorza di granchio ci trovò dentro quella bella ragazza. – Cos’hai fatto? – le disse, sottovoce, – se la Fata se n’accorge ci fa morire tutt’e due. – Ma io voglio liberarti dall’incantesimo! – gli disse, anche lei pianissimo, la figlia del Re. – Insegnami cosa devo fare. – Non è possibile, – disse il giovane. – Per liberarmi ci vorrebbe una ragazza che m’amasse e fosse pronta a morire per me.

S. Il vagabondo uscì dalla vasca e si nascose dietro i tendaggi. A mezzogiorno in punto, nel mezzo della vasca spuntò fuori dall’ acqua una Fata seduta sulla schiena d’un granchio.

T. La Principessa disse: – Sono io quella ragazza! Intanto che si svolgeva questo dialogo dentro la scorza di granchio, la Fata si era seduta in groppa, e il giovane manovrando le zampe del granchio come al solito, la trasportava per le vie sotterranee verso il mare aperto, senza che essa sospettasse che insieme a lui era nascosta la figlia del Re.

U. Appena ebbe imparato, la figlia disse al Re: – Papà, ho voglia d’andare a suonare il violino su uno scoglio in riva al mare. – Su uno scoglio in riva al mare? Sei matta? – ma come al solito la accontentò, e la mandò con le sue otto damigelle vestite di bianco. Per prevenire qualsiasi pericolo, la fece seguire da lontano da un po’ di truppa armata.

V. La figlia del Re le disse: – Sì che suono, basta che lei mi regali quel fiore che porta in testa, perché io vado matta per i fiori. – Glielo darò se lei è capace d’ andarlo a prendere dove lo butto. – E io ci andrò, – e si mise a suonare e cantare. Quando ebbe finito, disse: – Adesso mi dia il fiore. – Eccolo, – disse la Fata e lo buttò in mare, più lontano che poteva.

W. La Principessa lo vide galleggiare tra le onde, si tuffò e si mise a nuotare. – Padroncina, padroncina! Aiuto, aiuto! – gridarono le otto damigelle ritte sugli scogli coi veli bianchi al vento. Ma la Principessa nuotava, nuotava, scompariva tra le onde e tornava a galla, e già dubitava di poter raggiungere il fiore quando un’ondata glielo portò proprio in mano.

X. In quel momento sentì una voce sotto di lei che diceva: – Mi hai ridato la vita e sarai la mia sposa. Ora non aver paura: sono sotto di te e ti trasporterò io a riva. Ma non dire niente a nessuno, neanche a tuo padre. Io devo andare ad avvertire i miei genitori ed entro ventiquattr’ore verrò a chiedere la tua mano. – Sì, sì, ho capito, – lei gli rispose, soltanto, perché non aveva più fiato, mentre il granchio sott’ acqua la trasportava verso riva.

L'ordine esatto è: A
Categorie
Letture avanzate

Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Il Gattopardo

Questo è un famoso brano del libro Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ambientato nel 1860, al tempo dell’unificazione dell’Italia. E’ il dialogo tra il protagonista, il nobile Don Fabrizio principe di Salina, e il nipote Tancredi: quest’ultimo, arruolatosi con Garibaldi, con la sua celebre frase “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, esprime la convinzione che per i nobili è molto meglio appoggiare la monarchia dei Savoia e cacciare i Borbone ormai sconfitti che rischiare l’avvento di una repubblica. Col tempo, la frase è diventata un motto molto citato.

La mattina dopo il sole illuminò un Principe rinfrancato. Aveva preso il ed in veste da camera rossa fiorata di nero si faceva la dinanzi allo specchietto. Bendicò[1] posava il pesante sulla sua pantofola. Mentre si la guancia destra vide nello specchio, dietro la sua, la faccia di un , un volto magro, distinto, con un’espressione di timorosa beffa. Non si voltò e continuò a radersi. – Tancredi, cosa hai combinato la notte scorsa? – Buon giorno, zio. Cosa ho combinato? Niente di : sono stato con gli amici. Una notte santa. Non come conoscenze mie che sono state a divertirsi a Palermo. – Don Fabrizio si applicò a radere bene quel tratto di pelle difficoltoso fra labbro e . La voce leggermente nasale del ragazzo portava una tale carica di brio giovanile che era impossibile arrabbiarsi; sorprendersi, però, poteva forse esser . Si voltò e con l’asciugamano sotto il mento guardò il nipote. Questi era in tenuta da , giubba attillata e gambaletti alti. – E chi erano queste conoscenze, si può sapere? – Tu, zione, tu. Ti ho visto con questi occhi, al posto di di Villa Airoldi mentre parlavi col sergente. Belle cose, alla tua età! e in compagnia di un Reverendissimo! I ruderi libertini! – Era davvero troppo , credeva di poter permettersi tutto. Attraverso le strette fessure delle gli occhi azzurro-torbido, gli occhi di sua madre, i suoi stessi occhi lo fissavano ridenti. Il Principe si sentì offeso: questo qui veramente non sapeva a che punto fermarsi, ma non aveva l’ di rimproverarlo; del resto aveva ragione lui. – Ma perché sei vestito così? Cosa c’è? Un ballo in maschera di mattina? – Il ragazzo divenne : il suo volto triangolare assunse una inaspettata espressione virile. – Parto, zione, parto fra mezz’ora. Sono venuto a salutarti. – Il povero Salina si sentì stringere il . – Un duello? – Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi[2]. Vado nelle montagne, a Corleone; non lo dire a nessuno, non a Paolo[3]. Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero , se vi restassi. – Il Principe ebbe una delle sue visioni improvvise: una crudele scena di guerriglia, schioppettate nei boschi, ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato. – Sei , figlio mio! Andare a mettersi con quella gente! Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri[4] dev’essere con noi, per il Re. – Gli occhi ripresero a sorridere. – Per il Re, certo, ma per quale Re? – Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. – Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato? – Abbracciò lo zio un po’. – Arrivederci a presto. Ritornerò col . – La retorica degli amici aveva stinto un po’ anche su suo nipote; eppure no. Nella voce nasale vi era un accento che smentiva l’enfasi. Che ragazzo! Le sciocchezze e nello stesso tempo il diniego delle sciocchezze. E quel suo Paolo che in questo momento stava certo a sorvegliare la digestione di “Guiscardo!”[5]. Questo era il figlio suo vero. Don Fabrizio si alzò in fretta, si strappò l’ dal collo, frugò in un cassetto. – Tancredi, Tancredi, aspetta – corse dietro al nipote, gli mise in tasca un rotolino di «onze»[6] d’oro, gli premette la . Quello rideva: – Sussidi la rivoluzione, adesso! Ma grazie, zione, a presto; e tanti abbracci alla zia. – E si precipitò giù per le .

[1] Il cane di Don Fabrizio.
[2] Soprannome del re Francesco II di Borbone. Dio Guardi (cioè, “Dio me ne guardi, mi salvi”) è un’ironica storpiatura del latino Dei gratia: il re delle Due Sicilie era infatti tale “per grazia di Dio”.
[3] Figlio di Don Fabrizio.
[4] Cognome di Tancredi.
[5] Nome del cavallo di Paolo.
[6] Monete.

Categorie
Letture avanzate

Un angolo italiano in Scozia

C’è un pezzetto d’Italia in una delle estremità più settentrionali d’Europa. In una delle isole Orcadi, paradiso naturale situato a nord della Scozia (e raggiungibile con antediluviani bimotori a elica), si trova infatti una piccola cappella tutta italiana, l’Italian Chapel, appunto. Un gioiellino che, dietro la bellezza che emana, racchiude storie di guerra. Ma anche di speranza e di fede.

Nel 1942, circa 1300 soldati italiani, catturati dall’esercito britannico in Nord Africa, furono condotti prigionieri proprio nelle isole Orcadi, per essere impiegati nella costruzione delle barriere antisottomarino. Alle Orcadi, infatti, stanziavano, nella baia di Scapa Flow, navi della marina britannica, che da lì partivano per compiere operazioni di guerra. Già durante la Grande Guerra la zona era stata teatro di affondamenti di navi inglesi da parte tedesca (i relitti sono ancora oggi visibili), ma l’affondamento della Royal Oak, nel 1939, aveva convinto gli inglesi della necessità di bloccare l’ingresso degli U-boot tedeschi nella baia. A questo scopo le isole orientali furono collegate tra loro da immense barriere di massi, su cui poi furono costruite strade di collegamento. Le barriere sono oggi conosciute come Churchill Causeway. A costruirle ebbero parte importante proprio i prigionieri italiani.

Sulla più piccola delle isole, Lamb Holm, a sud del villaggio di St. Mary’s, grazie agli auspici del comandante del campo di prigionia (il maggiore T.P. Buckland), di un sacerdote (padre Gioachino Giacobazzi) e di un prigioniero dall’abilità di un vero artista (Domenico Chiocchetti), gli italiani vollero edificare una cappella, servendosi di uno dei rifugi del campo e di materiale di seconda mano. Ciò che ne venne fuori fu quella che è diventata una tappa obbligata per chiunque visiti le Orcadi, una preziosa costruzione cui gli isolani (tra cui P.N. Sutherland Graeme, proprietario dell’isolotto di Lamb Holm) sono così affezionati da aver fatto di tutto per salvarla anche dopo la guerra. La cappella, colorata e viva, ma tutt’altro che pacchiana, esternamente è piuttosto anonima, se si eccettua la facciata, bianca e rossa, che le conferisce un tono allegro. Internamente è invece tutta affrescata e decorata con motivi delicati, che nascondono il grigiore delle pareti del rifugio del campo. Sulla parete dell’altare, troneggia una splendida Regina Pacis, splendido augurio di pace in tempo di guerra, mentre ai lati due finestrine colorate (con i santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena) arricchiscono di luce e di calore la piccola cappella. Davanti all’altare, un cancelletto in ferro battuto fa da cornice alle decorazioni sacre. Lo stesso Domenico Chiocchetti, rintracciato dopo la guerra dalla Bbc, provvide al restauro delle uniche tracce di quel campo di prigionia smantellato: la cappella italiana e, di fronte a essa, la statua di San Giorgio, costruita con una struttura di filo spinato ricoperto di cemento, e alla cui base sono iscritti i nomi di tutti i prigionieri italiani. Oggi, accanto alla cappella, si trova anche un grazioso crocifisso in legno intagliato, donato alle Orcadi dal Comune di Moena, paese di residenza del nostro soldato-pittore.

Tra le altre cose, la cappella ospita oggi alcune manifestazioni del St. Magnus Festival.

Comprensione del testo

  1. Per quale motivo furono portati prigionieri italiani nelle isole Orcadi durante la seconda guerra mondiale?
    a) Per lavorare come agricoltori.
    b) Per essere imprigionati in un campo di concentramento.
    c) Per costruire le barriere antisottomarino.
    d) Per lavorare come pescatori.
  2. Chi ha avuto un ruolo importante nella costruzione della cappella italiana nelle isole Orcadi?
    a) Il comandante del campo di prigionia, un sacerdote e un prigioniero italiano.
    b) Il governo britannico.
    c) Il Papa.
    d) La comunità locale delle isole Orcadi.
  3. Come viene descritta l’esterno della cappella italiana?
    a) Riccamente decorato e affrescato.
    b) Piuttosto anonimo, con l’eccezione della facciata bianca e rossa.
    c) Semplice e austero, con poche decorazioni.
    d) Coperto di graffiti e disegni dei prigionieri italiani.
  4. Quale elemento ha un ruolo centrale nella decorazione interna della cappella italiana?
    a) Un affresco della Regina Pacis.
    b) Un grande crocifisso in legno intagliato.
    c) Una statua di San Giorgio costruita con una struttura di filo spinato ricoperto di cemento.
    d) Le statue dei santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena.
  5. Cosa si trova di fronte alla cappella italiana?
    a) La statua di San Giorgio, costruita con una struttura di filo spinato ricoperto di cemento.
    b) Una statua del comandante del campo di prigionia.
    c) Un monumento dedicato ai prigionieri italiani.
    d) Un crocifisso in legno intagliato donato dal Comune di Moena.

Controlla le risposte!

Categorie
Letture avanzate

Il Tribunale convoca Topolino e Paperino

Leggi il seguente articolo sul “burocratese”, cioè la lingua della burocrazia.

MILANO – Il testimone Topolino? «È pregato di comparire innanzi al Tribunale il 7 dicembre». E non da solo: perché anche «i signori Titti, Paperino, Paperina» sono attesi «davanti al giudice monocratico» per deporre «quali testi nel procedimento penale 6342/05». Il timbro parla chiaro: «Io ufficiale giudiziario, richiesto come in atti, ho per ogni legale effetto notificato l’atto che precede a: Titti, Paperina, Paperino, Topolino». La «relazione di notifica», che la cartolina dell’Ufficio notifiche atti giudiziari di Milano attesta appunto essere stata fatta pervenire al supposto domicilio legale dei fumetti, conferma: non è uno scherzo della giustizia. Ma la bizzarra esecuzione di un teorico adempimento, richiesto effettivamente dalla Procura di Napoli: la citazione proprio di questi quattro testimoni da parte del pm all’udienza in programma venerdì, in un processo partenopeo a un cinese accusato di aver contraffatto gadget con le immagini dei personaggi dei cartoni.

Ovvio che si sia trattato di un paradossale lapsus di cancelleria. Che, una volta vergato, non è stato più fermato, anzi ha via via risalito tutti i livelli di una burocrazia ormai talmente paraocchiata da diventare cieca anche rispetto al ridicolo. L’imputato cinese è accusato a Napoli di aver contraffatto giochi e adesivi con le immagini di Topolino & Co. E in questi casi è il legale rappresentante dell’azienda danneggiata a essere chiamato dal pm per riferire al giudice che quello contraffatto era davvero un proprio marchio. Ma non è un caso che ogni giorno in Italia un processo su tre «salti» per un qualche difetto di notifica.

Nella montagna di adempimenti pratici nei quali si dibattono le cancellerie dei tribunali, in perenne affanno da carenza d’organici e assenza di risorse materiali, deve essere accaduto che il tapino cancelliere di turno abbia automaticamente trasposto nell’atto di citazione dei testi i nomi rimastigli impressi in una affrettata lettura del capo d’imputazione. Il resto è implacabile burocrazia che si autoperpetua. Che sia a mano (come la citazione della Procura napoletana) o dattiloscritto (come sulla cartolina dell’Ufficio notifiche milanese), il risultato non cambia: e «mediante consegna di copia a mani dell’ufficiale giudiziario», la notifica plana (come e anche meglio che in un cartone animato) nello studio legale di Milano che di solito patrocina Warner Bros e Walt Disney nei processi per contraffazione. Improbabile, però, che Paperino e Topolino si presentino a testimoniare. Pare siano già impegnati con i bambini di mezzo mondo sotto Natale. «Legittimo impedimento».

[da Corriere.it]

Comprensione del testo

  1. Per quale motivo vengono chiamati a testimoniare Topolino, Titti, Paperino e Paperina?
    a) Sono i personaggi principali di un cartone animato.
    b) Sono stati coinvolti in un crimine.
    c) Devono deporre come testimoni in un processo penale.
    d) Sono accusati di contraffazione.
  2. Che ruolo svolge l’ufficiale giudiziario nel testo?
    a) Sta accusando Topolino, Titti, Paperino e Paperina.
    b) Ha notificato l’atto di citazione ai suddetti personaggi.
    c) Ha deciso di citare i personaggi come testimoni.
    d) Sta difendendo i personaggi citati.
  3. Di cosa è accusato l’imputato cinese?
    a) Di aver rubato dai personaggi dei cartoni.
    b) Di aver contraffatto giochi e adesivi con le immagini di Topolino & Co.
    c) Di non aver rispettato le norme sulla citazione di testimoni.
    d) Di aver inviato false notifiche.
  4. Secondo il testo, quale sembra essere un problema comune nei processi italiani?
    a) L’eccessiva lunghezza dei processi.
    b) Il frequente “salto” di processi a causa di difetti di notifica.
    c) L’incapacità di trovare testimoni validi.
    d) La mancanza di rappresentanti legali adeguati.
  5. Perché è improbabile che Paperino e Topolino si presentino a testimoniare?
    a) Non possono testimoniare perché sono personaggi di cartoni animati.
    b) Sono impegnati con i bambini di mezzo mondo sotto Natale.
    c) Sono stati prosciolto dalle accuse.
    d) Non sono stati in grado di ricevere la notifica.

Controlla le risposte!

Categorie
Eserciziario avanzato

La luna e i falò

Scegli le parole tra quelle proposte, in questo brano introduttivo di La luna e i falò, romanzo di Cesare Pavese.

C'è una ragione perché sono tornato in questo , qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un di terra né delle ossa ch'io possa dire "Ecco cos'ero prima di nascere". Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un , oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.
Se sono cresciuto in questo paese, devo dir grazie alla Virgilia, a Padrino, tutta gente che non c'è più, anche se loro mi hanno preso e allevato soltanto perché l' di Alessandria gli passava la mesata. Su queste colline quarant'anni fa c'erano dei dannati che per vedere uno d'argento si caricavano un bastardo dell'ospedale, oltre ai figli che avevano già. C'era chi prendeva una bambina per averci poi la servetta e comandarla meglio; la Virgilia volle me perché di figlie ne aveva già due, e quando fossi un po' cresciuto speravano di aggiustarsi in una grossa cascina e lavorare tutti quanti e star bene. Padrino aveva allora il casotto di Gaminella - due stanze e una stalla -, la capra e quella riva dei noccioli. Io venni su con le ragazze, ci rubavamo la polenta, dormivamo sullo stesso , Angiolina la maggiore aveva un più di me; e soltanto a dieci anni, nell' quando morì la Virgilia, seppi per caso che non ero suo fratello. Da quell'inverno Angiolina giudiziosa dovette smettere di girare con noi per la riva e per i boschi; accudiva alla casa, faceva il e le robiole, andava lei a ritirare in municipio il mio scudo; io mi vantavo con Giulia di valere cinque lire, le dicevo che lei non fruttava niente e chiedevo a Padrino perché non prendevamo altri bastardi.
Adesso sapevo ch'eravamo dei miserabili, perché soltanto i miserabili allevano i bastardi dell'ospedale. Prima, quando correndo a scuola gli altri mi dicevano bastardo, io credevo che fosse un nome come vigliacco o vagabondo e rispondevo per le rime. Ma ero già un fatto e il municipio non ci pagava più lo scudo, che io ancora non avevo ben capito che non essere figlio di Padrino e della Virgilia voleva dire non essere nato in Gaminella, non essere sbucato da sotto i noccioli o dall'orecchio della nostra capra come le ragazze.

(Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi, 1994, pp. 7-8)

Eserciziario
Categorie
Eserciziario avanzato

I valori della Costituzione

Leggiamo queste parole di Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Repubblica, sulla Costituzione italiana e proviamo a scegliere quelle corrette per completare il testo.

Alcuni pensano che la Costituzione sia un pungente nato quasi per caso da un arido di sbandamenti postbellici e da faziosi volti al passato. Altri pensano che essa nasca da una antifascista di fatto coltivata da certe minoranze, che avevano vissuto soprattutto da gli anni del fascismo. Altri ancora - come non pochi dei suoi attuali sostenitori - si richiamano alla , con cui l’Italia può avere ritrovato il suo onore e in certo modo si è omologata a una certa internazionale. E così si potrebbe continuare a lungo nella delle opinioni o sbagliate o insufficienti. In realtà la Costituzione italiana è nata ed è stata ispirata - come e più di altre pochissime costituzioni - da un grande globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale. Questo fatto emergente della del XX secolo va considerato, rispetto alla Costituzione, in tutte le sue componenti oggettive e al di là di ogni di soggetti, di parti, di , come un evento enorme che nessun che oggi vive o anche solo che nasca oggi, può e potrà accantonare o potrà attenuarne le dimensioni, qualunque se ne faccia e con qualunque lo scruti.

(da Giuseppe Dossetti, I valori della Costituzione, 16 settembre 1994)

Eserciziario
Categorie
Eserciziario avanzato

Il Museo del rubinetto

Scegli i sostantivi adeguati.

Il “Museo del Rubinetto e della sua Tecnologia” di San Maurizio d’Opaglio, è un unicum al ; esso affronta l’affascinante ed atavico argomento del sofferto rapporto dell’ con l’acqua in un percorso dal quale riemerge il dell’umanità da un insolito punto di : la storia dell’igiene e delle innovazioni tecnologiche (di cui rubinetti e valvole costituiscono i fondamentali) che hanno permesso di dominare l’elemento liquido, trasformando la cura del da una pratica di lusso per pochi a fenomeno di massa. [...]

La missione del Museo

La missione che il Museo si prefigge è quella di illustrare non solo la di San Maurizio d’Opaglio e del distretto industriale del rubinetto, ma soprattutto esporre le numerose tematiche relative alla potabilizzazione dell’acqua e l’uso delle idriche con cui la tecnologia del rubinetto si è dovuta e si deve confrontare.

Il Museo intende ripercorrere la storia sociale dell’acqua e delle innovazioni che hanno permesso di dominare l’ liquido, trasformando la cura del corpo da pratica elitaria a fenomeno di massa, determinando il sorgere del distretto industriale del rubinetto e del valvolame nel Cusio.

Il Museo si propone anche come aperto alla discussione sui temi legati alla produzione del rubinetto e del valvolame, ma anche su quelle globali relative alla disponibilità di acqua nel mondo e alla necessità di razionalizzarne l’uso per limitare gli sprechi e garantirne a tutti l’. Finalità questa che è propria di quello strumento, semplice e insieme complesso, che prende il nome di “rubinetto” (dal francese “robinett” = “piccolo montone”, termine desunto dalla forma a testa d’ariete diffusa in Francia), una piccola , in fin dei conti, che se ben utilizzata può consentire l’accesso al deposito dell’ blu.

(da www.museodelrubinetto.it)

Eserciziario
Categorie
Eserciziario avanzato

Il Controllo Qualità

Scegli l’aggettivo corretto tra quelli proposti.

L’applicazione del Controllo Qualità consiste nell’assicurarsi che il prodotto sia ai requisiti espressi dal cliente effettuando, prima della consegna, tutti i controlli, le prove e le misurazioni per eliminare quei prodotti che non corrispondono ai requisiti espressi nelle specifiche.
Questa metodologia può essere considerata come il stadio dell’applicazione della qualità ed è molto utile, soprattutto, in quelle realtà in cui un errore può costare come, ad esempio, nelle industrie , in ambito aerospaziale, ecc.
Storicamente il controllo qualità iniziò a diffondersi intorno agli anni ’30, quando si iniziò a capire che i costi di scarti e rilavorazioni incidono pesantemente sulle finanze delle aziende. Con l’avvento della produzione di massa, il controllo divenne ancora più grazie al controllo statistico di processo, concetto trattato per la prima volta da Shewhart.
Questa metodologia può essere implementata solo se:
1) è definito il livello di qualità richiesto attraverso specifiche di prodotto chiare (quali sono le caratteristiche da controllare, quali sono le prestazioni attese e le tolleranze ammesse, ecc)
2) sono assicurate tutte le condizioni necessarie per ottenere la qualità
3) sono stati definiti i punti di controllo, la frequenza dei controlli e cosa controllare
4) i controlli vengono eseguiti puntualmente
5) si interviene tempestivamente per riportare la varianza del processo entro le tolleranze ammesse.
Il Controllo Qualità può essere eseguito, a seconda delle necessità, in tre momenti della vita di un’organizzazione:
1) all’ingresso delle materie per non immettere in produzione materiali non conformi
2) durante i processi produttivi: sui semilavorati
3) all’atto del collaudo: sui prodotti finiti
I prodotti considerati non conformi saranno soggetti ad apposite decisioni e ad una conseguente azione .

(da www.qualitiamo.com)

Eserciziario